Nel passaggio fra vecchio e nuovo anno, mentre il web si riempiva di articoli “To-Do” e “To Do-Not” List, sono stato piacevolmente colpito da «Top Trends del Digital Marketing 2016: le 5 cose da tenere (ma anche da buttare)» di Rachele Zinzocchi è R&D Social Media Manager e Public SpeakerRachele Zinzocchi .
Il titolo farebbe pensare all’ennesimo articolo in Listicle-style e invece, in quella che definisce «una lista della spesa» in stile «casalinga di Voghera», Rachele ci parla di Digital Marketing e delle 5 cose da buttare e al contempo da conservare per il 2016, di cuore e stetoscopio, di responsabilità e autenticità, guardando in filigrana come in uno specchio.
Con questa intervista ne approfitto per farle alcune domande: 5 per l’esattezza, come 5 sono i trends di cui Rachele ci parla nel suo articolo.
Ce li teniamo o li buttiamo? Mi piace quando scrivi che sono utili se sono testimoni della Youtility.
Ecco, la Youtility sarà una keyword imprescindibile per il 2016?
R. Lo è da tempo, ma come sempre rischiamo di accorgercene quando i giochi sono fatti. È di 3 anni fa ormai la pubblicazione del libro di Jay Baer, tra i massimi «guru» (lui sì) del settore, «Youtility – Why Smart Marketing Is about Help, Not Hype». Il segreto è tutto qui. «La differenza tra aiutare e vendere sta in due sole lettere», ripete Baer, «decisive per il successo del business». Niente pubblicità old style, niente strilloni: solo Aiuto, Cuore. Youtility è tratto distintivo di quel «marketing tanto utile che la gente farà la fila alla tua porta» per comprare da te. Così, e solo così, venderai – davvero e a lungo.
Su questa scia, col tempo, ho maturato il mio «Vuoi vendere? Aiuta!»: «Sell? Help!» o, detto in hashtag, #SellHelp. Ormai quasi un motto. La parola chiave di quello che oggi è, a mio avviso, il «ROI» nel Social Media Marketing, nel Marketing tout court: Responsabilità, «Cuore». Il ROI qui, oggi, sta e si misura nel quanto e quanto a lungo tu sia responsabile, quanto tu metta in gioco il cuore e tutto te stesso per aiutare, soddisfare al meglio le esigenze del tuo «cliente-amico».
Ben vengano allora gli «influencer», se intesi come portatori dell’endorsement all’inglese, della recommendation che risolve l’emergenza – in quanto cioè condivisione di un’autorevolezza autentica, affidabile, amica, che cresce al crescere della «cura», del «Cuore» messo a pro degli altri. Una «influenza» utile in quanto responsabile e che dunque vende: dove insomma guadagnano giustamente tutti. Ma si lascino perdere mercati delle vacche: indistinte «notti nere» – si direbbe con Hegel – «ove tutte le vacche sono nere».
Altra parola “leggermente” abusata. L’inglesismo l’ha vestita a nuovo ma come giustamente sostieni “il raccontar storie” risale alla notte dei tempi. E allora come declinarla ai tempi moderni? Responsabilità e autenticità del racconto? Cos’altro?
R. Come quella che è e deve restar l’anima del nostro essere, ed esserci, social e online oggi e che solitamente riassumo in «3 C»: Comunicare, Coinvolgere, Curare. Il «racconto» cioè come condivisione di contenuti che comunicando coinvolge e cura: si prende a cuore i propri contatti in rete, «vende aiutando». Un «ti racconto una storia prendendoti per mano», che ingaggia non con una storia qualsiasi, ma la propria storia, vita e mission, il proprio volto autentico e trasparente, di azienda col coraggio di presentarsi senza finzioni, a frutto di chi ne fruirà. Chiamiamolo pure poi, se vogliamo, «Storytelling»: e anche Story-Listening, e Visual-Storytelling. L’essenziale è però comprenderne il significato, strategico e tattico: un «ti racconto la mia, così anche tu mi racconti la tua e ci aiutiamo a vicenda». Responsabilmente, appunto.
Le “Metriche di vanità”, il “primeggiare” a tutti i costi e molti atteggiamenti muscolari “a base di testosterone” (in molti casi ahimè ancora imperanti), si scontrano nella realtà con le “Metriche del Cuore” di cui parli, con l’autenticità e la responsabilità.
Il #SocialCare è la “ricetta”? Il nuovo marketing su Social si fa essendo utili?
R. «Sono utile, dunque vendo»: questo è il principio cardine del «Nuovo Marketing» oggi. Sono in grado di offrirti – o consigliarti, farti consigliare – un prodotto davvero utile in quella tua emergenza ora, piccola o grande? Allora mi seguirai, «comprerai» da me, e ben farai. #SellHelp, #SocialCare. Un «far bene soldi che fa soldi bene», «fare soldi facendo del bene». Fare del bene facendo soldi: fare l’utile con l’utilità. Un «Marketing del Volontariato», lo definisco anche, in senso «altruistico-egoistico»: un «Marketing del Cuore». Aiutare è il nuovo marketing. E conterà più del prezzo. «Customer Service Is The New Marketing», ricorda ancora Baer. Customer Experience, Passaparola, Assistenza al Ciente pre- e post-vendita «sono» il Nuovo Marketing, le Nuove «Vendite»: i fattori che, appunto, «entro il 2020 diverranno più importanti del prezzo»: se non lo sono già, come ormai ci pare persino più appropriato. «Social Engagement May Be More Important Than Marketing», ha dichiarato anche Carlos Dominguez, Presidente e COO di Sprinklr, in una recente intervista al MIT Sloan Management Review «Fammi innamorare, sarò tuo cliente!», sembra gridar il consumatore oggi alle aziende. Un grido che, auspichiamo, non resti inascoltato presso i brand. Il Nuovo Marketing è «relazione con la rete». Solo in questo circolo virtuoso – che non può permettersi mai di divenir vizioso, per una pessima assistenza ad es. – il cliente può esser invogliato a divenire nostro cliente o, per chi già lo è, fidelizzato a restar tale, magari migliorando anche il proprio valore economico.
Facebook e altri social media tendono sempre più a semplificare le procedure, rendendo le inserzioni accessibili a tutti. In molti casi il cliente (e parlo soprattutto delle PMI) preferisce il “far da sé”, senza poi ottenere risultato alcuno. Ma davvero il cliente può “fare da solo”? Le Social Ads possono davvero soppiantare l’esperienza e la visione strategica di un Social Media Manager?
R. Ovviamente no: nonostante il peso sempre più massiccio degli investimenti [solo] pubblicitari dei Brand in Social Ads e il valore innegabile – anzi, da non negar mai e ricordar sempre come priorità per le aziende – della «pubblicità» su social network e social media. «Oltre le gambe c’è di più», però: come già ho scritto nel libro «Le Nuove Professioni Digitali» (Hoepli ed.) di cui sono coautrice. Come sempre non conta tanto e solo che cosa si fa, ma come lo si fa. Non può esserci oggi #SMM senza #SocialAds. Una campagna di #SocialAds lanciata, però, senza adeguata strategia è un mero message in a bottle cieco e miope, trasportato dalla corrente senza mèta nell’infinito mare della rete: inutile, dunque, nonché dannoso. «Nessuno compra da te perché usi la pubblicità», ricorda spesso Peter Sandeen sul suo blog, «ma per le idee che comunichi con la tua pubblicità». Se bastasse pagare, tutte le pubblicità dovrebbero avere lo stesso successo. Talenti come la creatività, il filo diretto col cuore del network, con la platea dei clienti tali o potenziali, sono invece fattori essenziali. I social network, per quanto paid media, non sono canali TV.
Aggiungo che – a mio giudizio – le Social Ads sono sicuramente utili se inquadrate nell’ambito di una precisa strategia. Ciò detto, quali sono secondo te gli ingredienti per far sì che questi strumenti possono davvero fare la differenza?
R. Concepire ogni attività di Social Ads come tattica strategica di un Social Selling inteso come Social Engagement. Stop Social-Selling – e dunque stop anche all’Ads – se l’accento è posto sul selling, sul voler vendere a ogni costo via web e social media. Focus invece sul social, sul fattore chiave delle relazioni sociali: sul Social Helping, Social Engagement, KPI fondamentale del Nuovo Marketing e sintesi delle nostre keywords. Largo perciò all’advertising in quanto anch’essa mirante al «Social Engagement» – ad esser espressione naturale del Cuore, della Responsabilità. «Mi fido, ti compro. E ti faccio comprare», dice oggi il consumatore. A vendere di più è l’azienda responsabile. In un Social Engagement così inteso e realizzato sta il Digital Trend del New Marketing 2016: principio del successo, anche e in specie in termini finanziari.
Il cuore, l’autenticità, la responsabilità sono un po’ alla base di tutto ciò di cui stiamo parlando o mi sbaglio?
E se uno il cuore proprio non ce l’ha?
R. Ah beh, può fare il Data Scientist! Mica sarebbe male: è il primo fra i «25 Best Jobs in America for 2016», secondo l’annuale classifica di Glassdoor pubblicata qualche settimana fa e rilanciata anche da Mashable: 1.736 Job Openings, retribuzione base media di $116.840, opportunità di carriera e «Job Score» rispettivamente di 4.1 e 4.7… Io però il «Cuore» preferisco averlo: e fare l’Engagement Manager. Cos’è? Null’altro che la vera, nuova figura professionale del 2016 – smarcata in USA, non a caso non a caso quarta in classifica, del tutto latitante invece da noi, dove ancora a malapena capiscono la differenza tra Social Media Manager e Community Manager. Nell’Engagement Manager vedo la sintesi di quelle capacità e competenze necessarie per ideare, realizzare e sviluppare in ogni suo aspetto – con le debite deleghe, ma tenendo le redini complessive del carrozzone – le potenzialità del New Marketing descritto sinora: di un «aiutare che vende». E alla fine il dollaro arriva…